Martedì, 16 Agosto 2005 10:18

Da Donat Cattin a Padre Turoldo

Scritto da  Gerardo

Continua la ricognizione di Corghi con alcune brevi ma interessanti note sulle figure di Giulio Pastore, Carlo Donat Cattin, Giuseppe Bo, Dino Del Bo e Padre David M. Turoldo
Giulio Pastore
A fine aprile 1934, con la nuova presidenza della GIAC di Luigi Gedda, Giulio Pastore venne nominato responsabile del settore tecnico-organizzativo. Ricordo bene di averlo incontrato per la prima volta nel 1937 all’Ospizio Santa Marta in una riunione di dirigenti diocesani della gioventù cattolica che si svolse per alcuni giorni entro le mura del Vaticano mentre in Italia non erano scomparsi gruppi cui non dispiaceva rimettere in moto lo spirito di intolleranza del 1931. La differenza di mentalità fra noi giovani non ancora ventenni e quella di un trentacinquenne come Pastore venne superata dalla disponibilità a intessere amicizia da parte del leader della gioventù cattolica della Valsesia. Lo incontrai ancora negli anni prebellici e seppi a poco a poco della sua forte attrazione ad operare nel sindacato e come avesse una stima per Don Sturzo ma senza entrare nel partito, la sua collaborazione con Achille Grandi sin dal 1918. Sapevo altresì della sua esperienza giornalistica a Monza fra il 1923 ed il 1926. Giulio Pastore arrivò a Roma a collaborare con Gedda anche se conserva una sua autonomia. Dopo il 25 luglio 1943 riprese il dialogo con Grandi e con lui si incontrò con De Gasperi che aveva domicilio in Via Bonifacio VIII, 21, nello stesso edificio dove anche la famiglia pastore viveva. Fu nel 1945 che si manifestarono alcune differenze fra Pastore e Grandi che credeva in modo forte nell’unità sindacale come garanzia di una democrazia partecipata. La morte di Grandi nel settembre 1946 portò alla successione nella guida della componente cristiana del sindacato Giuseppe Rapelli. L’anno successivo fu sostituito da Pastore che porterà dopo il 18 aprile 1948 alla rottura della CGIL e alla creazione prima alla Libera confederazione sindacale anche senza venatura confessionale e nel 1950 alla costituzione della CISL con il prezioso apparto del prof. Mario Romani docente alla cattolica. Incontrai più volte Pastore nei Consigli nazionali della DC. In un’occasione propose il mio nome a reggere il settore della politica del lavoro, ma la maggioranza elesse Zaccagnini. Dopo la rottura del gruppo di Nuove Cronache, al congresso di Napoli del 1962, passai nella corrente di Forze Nuove guidata da Pastore e poi da Donat Cattin. Su sua richiesta ricordo di essere stato a presiedere il congresso DC a Novara. Nel decennio 1958-1968 ricoprirà diversi incarichi ministeriali. Membro del ministero Tambroni, si dimise dopo il voto datogli dalla Morì nell’ottobre 1969 a 67 anni.

Carlo Donat Cattin
Era ministro della sanità nel 1988 quando mi chiese di impegnare il CISO (Centro di studi e ricerche sulla storia sanitaria e ospedaliera, fondato nel 1956) nel comitato nazionale per la celebrazione di un secolo di sanità pubblica. La proposta venne subito accolta e con la collaborazione del Centro di educazione sanitaria di Perugina la celebrazione si attuò l’anno successivo anche con una mostra storica all’interno della Camera dei Deputati. Non era nuovo il mio rapporto col ministero perché per un decennio avevo presieduto l’ospedale di Reggio Emilia, inoltre avevo presieduto l’associazione regionale degli amministratori ospedalieri ed ero stato per un quinquennio membro del Consiglio Superiore della Sanità. In un altro periodo avevo tenuto la presidenza di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico nel pisano e di un istituto di assistenza per ragazzi minorati ad Assisi. Questa del Centenario fu la mia ultima collaborazione con Donat Cattin iniziata nel comune impegno nella direzione centrale della DC con comunanza di linea politica evidenziata nella opposizione a molti O.d.G. e mozioni. Donat Cattin che era nato a Finale Ligure nel 1919 muore nel marzo 1991.
Proveniente dal mondo cattolico piemontese, gli resterà legato. Eletto nel consiglio nazionale della DC divenne membro della direzione nel 1956 e più tardi vice segretario. Deputato dal 1958 fu sottosegretario in tre governi e poi, più volte, ministro. Fu sempre contro ogni alleanza organica con il PCI e diede forza alla corrente eredita da Pastore “Forze Nuove” con i convegni di Saint-Vincent. Sostenne il periodico "Settegiorni”. Scrisse un solo articolo su “Cronache sociali” ma non fu ancorato alle idee dossettiane come non fu in sintonia con la sinistra di “Base”. Si mosse sulla scia del riformismo e della sinistra sociale di Pastore. Invitato da Labor, non lo seguì nella costruzione del movimento politico ACPOL. Qualcuno ha scritto che Donat Cattin aveva una religiosità giansenista. La schiettezza del carattere fu la sua divisa. Quando nel maggio 1980 venne accusato di sottrarre il figlio alla cattura come militante di Lotta Continua, si dimise dalla segreteria politica della DC: tanti amici gli furono vicini. Anch’io fui con loro.

Giuseppe Bo
L’11 giugno 1961 venni insediato quale presidente della società Terme di Salsomaggiore, una nuova società a partecipazione statale istituita con le cessazione della gestione demaniale. Era ministro delle partecipazioni statali Giorgio Bo con il quale avevo avuto nel tempo molti incontri sia sui problemi inerenti la mia ragione sia per la crescita, in linea anticentrista, della corrente maggioritaria “Iniziativa democratica”.
Ebbi cosi modo di stabilire molti contatti con Bo sui problemi della azienda salsese sia sulla politica dell’Intersind nel cui consiglio esecutivo venni eletto nel 1963 come rappresentante delle Terme e dove permarrà il mio impegno anche dopo la conclusione del mio triennio a Salsomaggiore. Bo era ligure di nascita (1905) e di formazione culturale che manifestò nell’insegnamento universitario di diritto privato e di diritto civile. Militò nell’antifascismo in unione con Aghille Pellizzari, un docente che fu parlamentare del partito popolare, poi leader della Resistenza e costituente. Dopo l’8 settembre 1943 Bo tenne contatti col gruppo dei cattolici-comunisti guidati da Franco Rodano e poi con i cristiano-sociali di Gerardo Bruni. Aderì alla DC con Taviani, non confluì nella corrente di Rossetti né in quella di Grandi. Si pose nella sinistra del partito, vissuta come logico sviluppo della Resistenza dei cattolici. Eletto al senato nel 1948 divenne poi più volte ministro. Quando Tambroni sollecitò i voti di destra al suo governo, Bo con Pastore e Sullo si dimise prontamente. Al senato aveva commemorato con convinzione Gaetano Salvemini e non aveva esitato a disapprovare l’intervento militare anglo-francese nel canale di Suez, come tenne un fermo discorso contro l’invasione russa in Ungheria. Più volte ministro concluse a 65 anni il suo curriculum ministeriale. L'autentica impronta Bo la lasciò al ministero della partecipazioni statali, vissuta negli anni fertili in cui è attivo Enrico Mattei, nella linea così vicina di Vanoni volta a stabilire un equilibrio fra sviluppo economico e crescita democratica. Economia e crescita sociale. Bo mi chiese di far parte nel 1964 del consiglio di amministrazione della SEBN (Bacini napoletani), vi rimasi fino al maggio 1968. Nello stesso periodo, per richiesta della DC di Reggio Emilia, anche dopo le dimissioni dal partito feci parte del Consiglio della “Reggiane” con problemi inerenti alla produzione in tempo di pace anche di produzione bellica. Viaggiai varie colte con Bo, nello stesso elicottero dell’Eni. Fu durante un volo che incontrai Vittorio Calef direttore de “Il punto” con il quale iniziai una collaborazione che durò fino alla sua morte, Bo si impegnò a sostenere alcune riviste della sinistra DC a cominciare da “Politica2” di Firenze. Bo auspicava la formazione di un blocco contro il diffuso scadimento delle coscienze e del costume nella vita politica. Era pertanto convinto che lo stato non fosse accettare di essere un pessimo amministratore e un cattivo imprenditore. Era impegnato per un progetto di stato imprenditore con la grande testimonianza di Mattei.
La nostra amicizia continuò ben oltre gli anni settanta. Mi fu vicino con l’amicizia e il consiglio lungo l’iter della mia vita nelle molteplici vicende in Italia e all’estero. Nel 1976 non volle ripresentarsi alle elezioni. Aveva ripreso l’insegnamento universitario. Ha scritto interessanti libri quali Verso lo stato moderno, Firenze, Vallecchi; Il nuovo ciclo, Milano, Mondatori, 1963.
Nel gennaio 1980, a 17 anni di distanza dal tragico volo di Mattei, lasciava il mondo, in signorile silenzio.

Dino Del Bo
Milanese di nascita (1916), aveva aderito al Movimento Neoguelfo sorto nel 1928 ad opera di Piero Malvestiti e di Gioachino Malavasi. Come è noto tale formazione con gruppi di ex popolari contribuiranno alla nascita della DC. Nel periodo della Resistenza aveva creato un gruppo di cui faceva parte anche il servita padre David Turoldo, che pubblicava il periodico “L’Uomo”. Ho conosciuto Dino Del Bo nella sua qualità di sottosegretario al dicastero del Lavoro al tempo in cui era collega di La Pira, essendo Ministro Fanfani. E’ venuto a Reggio Emilia per l’azienda metalmeccanica “Reggiane” anche per interessamento di Dossetti. Poi l’ho rivisto in varie occasioni. Ricordo che nel congresso di Napoli del 1954 non viene rieletto consigliere nazionale dopo il suo intervento contrario alle tesi di Fanfani. Nel primo congresso della DC del 1946, era entrato nel consiglio nazionale come rappresentante della corrente di Gronchi. Nel novembre 1948 al convegno dei gronchiani si dichiarò favorevole al neutralismo rispetto al patto atlantico. Una tale tesi la sostenne nel gruppo parlamentare in contrasto con Dossetti che ritenne legittima l’adesione ad un blocco militare nell’ambito però di un’unione europea.
Il 21 ottobre 1963 si dimette da deputato per assumere la Presidenza della CECA, la comunità europea del carbone e dell’acciaio, incarico che ricoprì fino al 1967. Personalmente proprio in quell’anno inizia la mia crisi nei confronti della DC che mi inflisse la sospensione dalla vita del partito, tramite un intervento dei probiviri centrali, dell’aprile 1966 motivata da una mia dichiarazione alla stampa sulla utilità di un dialogo con i marxisti nel rispetto delle reciproche ideologie, per rafforzare la democrazia e nell’impegno per il bene comune. Fu allora che Del Bo mi manifestò stima ed amicizia. Condivise l’idea di formare terze forze quando al congresso DC di Milano del 1967 le sinistre con Fanfani si ritrovarono con i dorotei per consolidare il potere. Era la dimostrazione dell’incapacità della DC di rinnovarsi, di liberarsi dall’ossificazione del potere. Anche per Del Bo il centrosinistra finiva nella spartizione dei posti ai vertici del potere, bloccando l’allargamento delle basi democratiche e l’inserimento della classe lavoratrice nei gangli dello stato.
Del Bo era stato più volte ministro, era andato allontanandosi da Gronchi dopo la vicenda Tambroni.
Il nostro non è stato solo un uomo politico, ma anche un intellettuale. Oltre che per i suoi interessi giuridici si andrà qualificando per gli studi su Guicciardini, Salvemini, Berdiaeff e S.Weil. Richiamò i cittadini a riprendere in mano la loro storia, specialmente in un momento di prepotere partitocratrico. Mi fu vicino nell’impegno per lo sviluppo dei gruppi “spontanei” e per il processo di aggregazione del volontariato. Morì a Roma nel gennaio 1991.

Padre David M. Turoldo
Ricordo il mio primo e rapido incontro con padre David all’Università Cattolica in un giorno fra il 1939 e il 1940: vidi un giovane servita che correva verso un aula, con lo scapolare che volava in alto come un farfalla nera. Lo reincontrai dopo il bombardamento che colpì una parte dell’università, fra un gruppo di docenti e di allievi in animata discussione su guerra e pace. Mi unì al gruppo e compresi subito, nel gesto e nella parola, la forza dell’animo libero del giovane frate. Non posso non ricordare il padre Turoldo che nella clandestinità con Dino Del Bo, i professori Apollonio e Bontadini aveva creato e diffuso il periodico “L’Uomo”, animando la Corsia dei Servi a Milano con Padre Camillo Del Piaz e portando alla luce autori “che si dovevano tenere in cantina”. Nell’esaltante stagione post-resistenziale importante fu l’esperienza della messa della carità dalla quale nacque il comitato pro-Nomadelfia, la comunità creata da don Zeno Saltini nel campo di prigionia di Fossoli. Su Nomadelfia, che poi fu trasferita in Maremma, interverrà anche il governo dando mandato al senatore Medici, modenese come Don Zeno che sarà ridotto allo stato laicale, di adoperarsi per una revisione economica della comunità. Turoldo, insieme a padre Vannucci, si unì al progetto di Don Zeno, ritirandosi solo più tardi di fronte alle ingiunzioni dell’autorità ecclesiastica.
Fu sempre legato alla chiesa e proprio per questo fu critico nei confronti della DC perché coinvolgeva negativamente appunto la Chiesa. Ebbe difficoltà anche nel periodo in cui stava a Firenze alla SS. Annunziata. Nel 1959 dovette approdare in Canada su indicazione di Mons. Pignedoli. Nel 1963 a Sotto il Monte costituisce il centro di Studi Giovanni XXIII e la casa di Emmaus. Ho avuto molte occasioni per collaborare con lui. Ricordo quanto fece per la opera di ricostruzione del Friuli dopo i terremoto. In modo particolare ricordo il suo interessamento, nel quadro del programma “Operacion verdidad” voluta dal presidente del Cile Allende nel 1971 dal 15 aprile al 4 maggio. La delegazione italiana era formata oltre che da me, da Turoldo, La Pira, Luigi Nono, Carlo Levi. Mentre La Pira si adoperò per trovare un accordo della DC con la sinistra al potere, padre Turoldo si adoperò per la presenza dei cristiani accanto agli operai e agli emarginati, agli indios. Proprio il primo giorno celebrò la messa in un quartiere di poveri e durante il pranzo con Allende chiese di essere portato fra i minatori.
Nel 1968 quando decisi di lasciare la DC padre Turoldo mi telefonò salutandomi come “pioniere di una nuova stagione, ma in una e tormentata vigilia”. Nel settembre 1985 mi offrì il suo “Ritorniamo ai giorni del rischio” con questa dedica: “Almeno ci resti l’amicizia e la speranza” e in un successivo incontro mi donò “La morte ha paura” con la dedica “al mio vecchio amico”. Turoldo tre mesi dopo aver ricevuto un premio nel nome dell’amico di sempre Giuseppe Lazzati, il 6 febbraio 1992, moriva a Milano. Fu un resistente contro ogni ingiustizia nella vita sociale e in quella ecclesiale. E fu un poeta, un grande poeta.
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